Fondi (Latina), a volte tornano, ecco dov’erano finiti i rampolli del mammasantissima Don Mico Tripodo
Scritto da Domenico Salvatore on lug 6th, 2009 archiviato in Cronaca, Latina, Lazio, Regionale. Puoi seguire questo articolo con gli RSS 2.0. Puoi lasciare un commento a questo articolo compilando il form in fondo allo stesso
Agli indagati il gip Cecilia Demma contesta, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere, corruzione, falso e abuso d’ufficio. Un sodalizio criminale gestito dai fratelli Tripodo, figli del boss “Don Mico”, ucciso il 26 agosto del 1976, con venti coltellate nell’infermeria di Poggioreale, da due emissari cutoliani, a nome del clan rivale e vincente, dei De Stefano.di Reggio, Il sodalizio fondiano, tramite un ex assessore, nonché funzionari comunali e responsabili dei vigili urbani, avrebbe ottenuto importanti incarichi e commesse. Dalle prime luci dell’alba, ben 200 tra agenti del centro operativo di Roma e militari dei carabinieri di Latina hanno eseguito 17 provvedimenti restrittivi emessi dal Gip del tribunale di Roma, Cecilia Demma, su richiesta dei p.m. Diana De Martino e Francesco Curcio. Come spiegato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capalbo dall Capo del Centro Operativo della DIA Paolo La Forgia dal comandante provinciale dei Carabinieri di latina colonnello Roberto Boccaccio. Gli arrestati: l’ex assessore ai lavori pubblici del comune di Fondi Riccardo Izzi (Forza Italia), Franco e Pasquale Peppe, teste di legno dei Tripodo, Aldo Trani, Giuseppe Bracciale, Alessio Ferri, Antonio Schiappa, Igor Catalano, Vincenzo Biancò e Antonio D’Errigo. Arresti domiciliari per il comandante della polizia municipale Dario Leone, il suo vice Pietro Munno, il dirigente del settore bilancio e finanze del comune Tommasina Biondino e quello dei Lavori pubblici Gianfranco Mariorenzi, nonché l’immobiliarista Massimo Di Fazio. Sono state sequestrate società, immobili e terreni per un valore di circa 10 milioni di euro.
LATINA, “CIRCEO CONNECTION”, A VOLTE TORNANO…LE MANI DELLA ‘NDRANGHETA DEI FRATELLI CARMELO E VENENZIO TRIPODO, RAMPOLLI DEL DEFUNTO MAMMASANTISSIMA DELLA ‘NDRANGHETA (“ONORATA SOCIETA’ “ OD ANCHE “FAMIGLIA MONTALBANO”) ”DON MICO TRIPODO” SUL MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI FONDI, PROVINCIA DI…REGGIO CALABRIA Dopo la morte del capobastone della ‘ndrangheta, Don Mico Tripodo, i fratelli: Venanzio genero del capobastone Sebastiano Romeo di San Luca, inteso ‘U Staccu, e Carmelo Tripodo, legittimi eredi, si sono trasferiti nella zona di Fondi, dove il papà aveva amicizie che contano ed addentellati sicuri, reinvestendo profitti illeciti nel mercato ortofrutticolo. I germani, sono riusciti a conquistare l’attivita’ del mercato ortofrutticolo che e’ uno dei piu’ grandi d’Europa. Tutti i particolari sono stati resi noti, in una conferenza stampa presso la procura di Roma, durante la quale gli inquirenti hanno esposto i dettagli dell’operazione.Emergono anche episodi di collusione con funzionari del Comune. Con il loro aiuto, Riccardo Izzi sarebbe stato il primo degli eletti al comune di Fondi, dove fino al febbraio 2008 è stato assessore ai lavori pubblici. Il prefetto Bruno Frattasi aveva proposto di sciogliere il Comune per infiltrazioni di ndrangheta.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni si era riservato di decidere Ma intanto si registra un’invasione criminale come non accadeva in Italia dalla fine degli anni Sessanta; quando i capi-bastone ed i vice-capi venivano mandati al soggiorno obbligato in comuni fuori dalla Calabria. I boss, arrivano, acquistano di tutto, corrompono, ricattano, infettano, riciclano, costruiscono, e perfino governano. Hanno tutti le mani in pasta a Terracina, Sperlonga, Sabaudia a Minturno, a Gaeta, a Formia: Cosa Nostra, la Camorra, la ‘Ndrangheta e talora la Sacra Corona Unita. Nell’occhio del ciclone Vincenzo Garruzzo, già arrestato dalla DDA di Roma nel febbraio del 2008, a cui la Divisione Anticrimine della Questura sequestrò nel dicembre del 2008 un impero economico da venti milioni di euri. Si cerca di capire se siano riconducibili ai fratelli Tripodo. E Salvatore Garruzzo, cugini e consuoceri imparentati con i Bellocco e i Pesce di Rosarno e un giro di denaro a strozzo che l’ha fatto diventare un piccolo ras locale.
Già negli anni novanta si parlava di Salvatore Garruzzo come un nullatenente,che non aveva nemmeno presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni 1993 e 1994 . Ma il tribunale di Latina gli aveva sequestrato beni per 9 miliardi del vecchio conio: terreni, ville, case, latifondi e Bot per 450 milioni. Salvatore Garruzzo, originario di Rosarno (Reggio Calabria) viveva da diversi anni a Fondi dove faceva il mediatore al mercato ortofrutticolo; il piu’ importante d’ Italia dopo quello di Milano. Una sorta di banca parallela che applicava tassi usurari sino a sfiorare il 120%. Le vittime sottoscrivevano ipoteche sui beni di loro proprietà. Se non potevano pagare… Un sequestro dei beni immobili che riguardava, decine di appartamenti, 7 negozi e 13 terreni agricoli a Fondi; 2 esercizi commerciali e un fabbricato a Rosarno, in Calabria, paese di origine di Garruzzo. Il sequestro era stato disposto dal Tribunale di Latina presieduto dal giudice Cinzia Parasporo, su proposta dell’Ufficio misure di prevenzione della Questura. In più c’è un episodio che fa traboccare il vaso,quando al rogo va un’automobile. Quella dell’ex assessore Izzo che va subito dai Carabinieri e dal Prefetto e “canta”
Domenico Salvatore
Latina – Questa storia di ordinaria ‘ndrangheta, parte da molto lontano. Ma s’incrocia con quella di tante ‘ndrine. Un classico della mafia calabrese. Stiamo parlando dei figli di “Don Mico” Tripodo. Del padrino riconosciuto della ‘ndrangheta calabrese degli anni cinquanta e sessanta. Famosi furono i summit di Montalto ( 26 ottobre 1969, presieduto da “Don Peppe” Giuseppe Zappia boss di San Martino di Taurianova) e del Ponte di Calanna, presieduta da Don Mico Tripodo, scoperto dai Carabinieri. Era un tentativo di formare la Commissione sul modello siculo-palermitano. Ndrangheta che si poteva chiamare anche Piccotteria, Famiglia Montalbano e perfino Onorata Società. E’ una storia che parte dagli anni cinquanta. Quando fioccavano le prime leggi anti-mafia. … pericolosità sociale, condanna per associazione mafiosa, diffida, libertà vigilata, sorveglianza speciale, soggiorno obbligato l’articolo 12 legge 1423/56, al soggiorno obbligato nel Comune di… Il soggiorno obbligato è un provvedimento giudiziario consistente nell’obbligo di abitare in una località ristretta, stabilita dalle autorità, per un certo periodo di tempo (anche alcuni anni).
Su questo argomento i giuristi discutono da decine di anni, senza riuscire a trovare un comune denominatore. Ma occupiamoci ora più da vicino di questo boss leggendario sposato con una maestrina, che gli diede due figli. Capo dei Capi dell’Onorata Società, ma anche fondatore della cosiddetta ‘ndrangheta. La mafia moderna calabrese.
Micu o “Don Mommo “ Tripodo (nato a Reggio Calabria, 1923 morto a Napoli, il 26 agosto 1976), Capo dei Capi dell’Onorata Società, o “Famiglia Montalbano” il vecchio nome della ‘ndrangheta, che cominciava a circolare, dopo la vittoria del capo di società Domenico Tripodo nella faida con il boss rivale Domenico Strati, nel 1959 . Gli storici del fenomeno ndrangheta, tramandano che all’origine a Reggio Calabria vi fosse un solo Locale (un insieme di ‘ndrine); e lo comandava Domenico Tripodo, la primula di Sambatello. Un ex comune, sulle colline adiacenti, oggi frazione di Reggio Calabria. Della ‘ndrina facevano parte anche i fratelli De Stefano (dei quattro, Giovanni fu ucciso al Roof Garden di Reggio l’11 settembre del 1974; Giorgio venne ammazzato ad Acqua del Gallo, nella zona di Gambarie, il 9 novembre del 1977 e Paolo ad Archi, il 13 ottobre del 1985; il quarto, Orazio, è stato arrestato il 23 febbraio 2004 a Reggio Calabria, al Parco Caserta dal capo della Squadra Mobile reggina, Salvatore Arena) Condello, Tegano, Imerti, Fontana, Libri e così via. Poi venne la faida interna, che altrove si chiama “scissione” o separazione…non consensuale. Il Tripodo fu ucciso nel carcere di Poggioreale di Napoli. il 26 agosto 1976. Da due sicari della Camorra, per ordine di Don Raffaele Cutolo, capo dei Capi della NCO, che doveva restituire un favore a Don Paolino De Stefano. Il Tripodo, era stato arrestato il 21 febbraio 1975.
La pace fra le ‘ndrine dei De Stefano e dei Tripodo invocata dalla famiglie più importanti della ‘ndrangheta, fu sancita per ordine della “Mamma”, come viene indicato il locale “numero uno” per eccellenza. Quello di San Luca. A cui tutti devono rivolgersi, con rispetto, e mettersi in li9sta d’attesa, prima di “aprire” od inaugurare una ‘ndrina. Pena l’annullamento o mancata convalida. Con tutti i guai che ne conseguono. La pace fu rinsaldata con un matrimonio eccellente, tra Venenzio Tripodo, il figlio del defunto padrino Don Mico Tripodo ( uno dei tre della “sacra trimurti mafiosa” completata don Don Mommo Piromalli capo dei capi della Locale della sconfinata Piana di Gioia Tauro, morto “a piedi nudi “, cioè nel suo letto, l’11 febbraio del 1979 e zì’ ‘Ntoni Macrì Capo dei Capi della sterminata Locride, ammazzato, ovvero morto “con le scarpe ai piedi” nella “sua” Siderno, in contrada Zammariti il 20 gennaio del 1975, da un commando di killers armati sino ai denti) e Teresa Romeo, figlia del capobastone dell’omonimo clan, Sebastiano Romeo, inteso ‘U Staccu; personaggio di calibro e spessore mafioso; autentico pezzo da novanta della ‘ndrangheta del tempo, federato con i Nirta “Scalzone” ed i Pelle “Gambazza”. Ma sarebbe più preciso dire che quel locale di Sambatello o San Giovanni, in illo tempore, era forse il più prestigioso, per la caratura del personaggio che lo guidava: Domenico Tripodo appunto.
A titolo di cronaca la prima guerra di mafia all’interno della ‘ndrangheta, a Reggio Calabria, scoppiò tra il 1974 e il 1976. Tripodo che non ebbe il tempo materiale di vedere la fine, si scontrò con i suoi sottoposti, i fratelli De Stefano. Questi raggiunsero il monopolio per le opere edili a nord di Reggio Calabria, estromettendo la ndrina dei Tripodo dagli appalti delle opere pubbliche, grazie anche al supporto dei Piromalli e dei Mammoliti. Il Tripodo, nel 1974 reagì con l’uccisione del boss Giovanni De Stefano al Roof Garden di Reggio Calabria. Anche i De Stefano tentarono l’uccisione del capobastone rivale, dapprima senza successo. Domenico Tripodo, fu arrestato e incarcerato nella prigione di Poggioreale a Napoli. Non vide la fine della guerra, poiché fu uccso in cella a Napoli-Poggioreale con 20 coltellate, su richiesta di Paolo De Stefano, che si rivolse al Capo della NCO Don Raffaele Cutolo; che già lavorava con loro nel traffico di droga. I sicari furono Salvatore Luigi Esposito 25 anni di Marigliano (Na) e Pasquale Agrippa di Arzano. I De Stefano divennero la ‘ndrina predominante a Reggio Calabria. Don Mico Tripodo, morendo lasciò due eredi. Il figlio, Carmelo Tripodo, dopo la sconfitta si trasferì nel nord Italia e successivamente a Caserta ed infine a Fondi nel Lazio. Si alleò con gli Imerti e i Condello, storici nemici dei De Stefano. Fu arrestato il 30 ottobre 1996 a Roma con l’accusa di estorsione e usura. Lo stesso fece il fratello Venanzio, con qualche variante. Sentiamo ora la parola di un vecchio boss di ‘ndrangheta ora pentito, durante un processo. Il super-pentito Paolo Iannò, ex capobastone del locale di Gallico, come suo nonno omonimo. Transitato nelle mani dello zio.
Iannò oramai è un collaboratore di giustizia omologato addirittura come il Nino Giuffrè calabrese (catturato assieme a Carmelo Palermo,dalla Dia e dai Carabinieri il 27 dicembre 2000 e sottoposto al 41 bis). Iannò, ex braccio destro del Capo dei Capi della ‘ndrangheta “Don Pasquale” Condello, inteso il “Supremo” (catturato dai Carabinieri, all’Occhio di Pellaro, il 18 febbraio 2008). Ebbene, Iannò, ha affermato in aula, durante il processo “Valanidi bis” che il capobastone Don Mico Tripodo, abbia “rialzato”, nientemeno che Benedetto Santapaola, inteso “Nitto”, catturato il 18 maggio 1993 nelle campagne di Mazzarrone nell’ambito dell’operazione Luna Piena dallo SCO. “Battezzato” picciotto da Don Mico Tripodo, compare d’anello di Totò Riina . Totò ‘U Curtu od anche ‘U zu’ Totò, che fu catturato da “Capitan Ultimo, il 15 gennaio 1993 a Palermo, in Via Bernini). Riina, braccio destro di “Lucianeddhu” Leggio, inteso “Liggio”, che fu compare anche di capibastone del calibro di Giuseppe Morabito inteso ‘U Tiradrittu boss di Africo, a cui, secondo i pentiti fece pure visita, travestito da prete. Morabito che rivestì il grado di Capo dei Capi della ‘ndrangheta calabrese. Prima di essere catturato dal Ros il 18 febbraio del 2004 in contrada Santa Venere di Reggio Calabria; più vicina a Cardeto. Ma Don Mico Tripodo, a titolo di cronaca, aveva comparati di spessore in provincia. Tipo quello con Don Paolo Bruno Equisone boss di Bova. Galeotta fu quella lettera ritrovata dalle forze dell’ordine, in cui Don Mico Tripodo invitava Don Paolo a diffidare delle “carogne, ‘nfami e tragiraturi. Ma Don Mico Tripodo aveva anche compari per i quali era pronto a mettere la mano sul fuoco, come il “santista” Don Natale Iamonte, padrino riconosciuto della mafia di Melito Porto Salvo; uno dei patriarchi della ‘ndrangheta. Questa storia di ordinaria infiltrazione negli enti locali, di ordinari “cravattari”, di ordinario racket delle estorsioni, di ordinario traffico di armi e droga e tutto quel che segue, dimostra qualora ce ne fosse dubbio, almeno un paio di cose. Le mafie lavorano in sinergia.Ma soprattutto, che di fronte al business cadono tutte le inimicizie, livori, astio, rancore, odio e violenza del mondo. Può accadere pure che due nemici giurati, che si son presi a raffiche di mitra e pistola nelle faide o nelle guerre di mafia, siedano fianco a fianco a tavola.
Guerra e pace, amore ed odio. Anche questo è ìndrangheta. Un sodalizio criminale gestito dai fratelli Tripodo, figli del boss “Don Mico”, ucciso il 26 agosto del 1976, con venti coltellate nell’infermeria di Poggioreale, da due emissari cutoliani, a nome del clan rivale e vincente, dei De Stefano.di Reggio, Il sodalizio fondiano, tramite un ex assessore, nonché funzionari comunali e responsabili dei vigili urbani, avrebbe ottenuto importanti incarichi e commesse. Con il loro aiuto, Riccardo Izzi sarebbe stato il primo degli eletti al comune di Fondi, dove fino al febbraio 2008 è stato assessore ai lavori pubblici.Dalle prime luci dell’alba, ben 200 tra agenti del centro operativo di Roma e militari dei carabinieri di Latina hanno eseguito 17 provvedimenti restrittivi emessi dal Gip del tribunale di Roma, Cecilia Demma su richiesta dei p.m. Diana De Martino e Francesco Curcio. Come spiegato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capalbo dall Capo del Centro Operativo della DIA Paolo La Forgia dal comandante provinciale dei Carabinieri di latina colonnello Roberto Boccaccio. Gli arrestati: l’ex assessore ai lavori pubblici del comune di Fondi Riccardo Izzi (Forza Italia), Franco e Pasquale Peppe, teste di legno dei Tripodo, Aldo Trani, Giuseppe Bracciale, Alessio Ferri, Antonio Schiappa, Igor Catalano, Vincenzo Biancò e Antonio D’Errigo. Arresti domiciliari per il comandante della polizia municipale Dario Leone, il suo vice Pietro Munno, il dirigente del settore bilancio e finanze del comune Tommasina Biondino e quello dei Lavori pubblici Gianfranco Mariorenzi, nonché l’immobiliarista Massimo Di Fazio. Sono state sequestrate società.
Dopo la morte del capobastone della ‘ndrangheta, Don Mico Tripodo, i fratelli: Venanzio genero del capobastone Sebastiano Romeo di San Luca, inteso ‘U Staccu, e Carmelo Tripodo, legittimi eredi, si sono trasferiti nella zona di Fondi, dove il papà aveva amicizie che contano ed addentellati sicuri, reinvestendo profitti illeciti nel mercato ortofrutticolo. I germani, sono riusciti a conquistare l’attivita’ del mercato ortofrutticolo che e’ uno dei piu’ grandi d’Europa. Tutti i particolari sono stati resi noti, in una conferenza stampa presso la procura di Roma, durante la quale gli inquirenti hanno esposto i dettagli dell’operazione.Emergono anche episodi di collusione con funzionari del Comune. Il prefetto Bruno Frattasi aveva proposto di sciogliere il Comune per infiltrazioni di ndrangheta. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni si era riservato di decidere Ma intanto si registra un’invasione criminale come non accadeva in Italia dalla fine degli anni Sessanta; quando i capi-bastone ed i vice-capi venivano mandati al soggiorno obbligato in comuni fuori dalla Calabria. I boss, arrivano, acquistano di tutto, corrompono, ricattano, infettano, riciclano, costruiscono, e perfino governano. Hanno tutti le mani in pasta a Terracina, Sperlonga, Sabaudia a Minturno, a Gaeta, a Formia: Cosa Nostra, la Camorra, la ‘Ndrangheta e talora la Sacra Corona Unita. Nell’occhio del ciclone Vincenzo Garruzzo, già arrestato dalla DDA di Roma nel febbraio del 2008, a cui la Divisione Anticrimine della Questura sequestrò nel dicembre del 2008 un impero economico da venti milioni di euri. Si cerca di capire se siano riconducibili ai fratelli Tripodo. E Salvatore Garruzzo, cugini e consuoceri imparentati con i Bellocco e i Pesce di Rosarno e un giro di denaro a strozzo che l’ha fatto diventare un piccolo ras locale. Già negli anni novanta si parlava di Salvatore Garruzzo come un nullatenente,che non aveva nemmeno presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni 1993 e 1994 .
Ma il tribunale di Latina gli aveva sequestrato beni per 9 miliardi del vecchio conio: terreni, ville, case, latifondi e Bot per 450 milioni. Salvatore Garruzzo, originario di Rosarno (Reggio Calabria) viveva da diversi anni a Fondi dove faceva il mediatore al mercato ortofrutticolo; il piu’ importante d’ Italia dopo quello di Milano. Una sorta di banca parallela che applicava tassi usurari sino a sfiorare il 120%. Le vittime sottoscrivevano ipoteche sui beni di loro proprietà. Se non potevano pagare… Un sequestro dei beni immobili che riguardava, decine di appartamenti, 7 negozi e 13 terreni agricoli a Fondi; 2 esercizi commerciali e un fabbricato a Rosarno, in Calabria, paese di origine di Garruzzo. Il sequestro era stato disposto dal Tribunale di Latina presieduto dal giudice Cinzia Parasporo, su proposta dell’Ufficio misure di prevenzione della Questura. In più c’è un episodio che fa traboccare il vaso,quando al rogo va un’automobile. Quella dell’ex assessore Izzo che va subito dai Carabinieri e dal Prefetto e “canta”
Domenico Salvatore
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